Ernesto Lamagna - Lo scultore degli Angeli




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La Spazialità Luministica di Ernesto Lamagna

Malgrado l'estendersi dei caratteri dell'opulenza e della materialità a livello planetario, o forse magari per questo, pare ormai risorto rigogliosamente quel sentimento dello spirituale che intanto ci si manifesta in nuove affermazioni di religiosità: un'ideologia, certo, ma anche concrete esercitazioni di riflessione sul trascendente che offrono carne e sostanza e materia a inedite espressioni d'arte. Per questo non stupisce che artisti contemporanei tornino all'impegno di arricchire e decorare cattedrali e luoghi di culto.

Ciò a scapito del fatto che siano pure cambiate le particolarità di un'arte cosi detta sacra. E anche il caso di Ernesto Lamagna chiamato a lavorare due porte per Santa Maria della Vittoria a San Vito dei Normanni: un modo per ripensare la propria dimensione interiore, ma anche per ritrovare tracce artigianali ed espressive (quelle del bassorilievo in bronzo), messe sulla Stimmung di un pensare astrattivo e moderno.

Quanto sia pertinente l'interpretazione del campo spaziale in Lamagna è riscontrabile, in effetti, nella Porta del Giubileo e nella Porta Santa. Le improvvise depressioni, le lancettate nel fondo, le schiacciature delle pieghe, che nei disegni preparatori sembrano potersi giustificare razionalmente per il fatto stesso di fìngere un volume su una superficie, e dunque come medium tecnico volto ad una certa determinata impressione illusiva, si trovano anche in questi bassorilievi.

Basterebbero le crespe del pannello dell'Angelo dell'Apocalisse nella Porta Santa - con l'ombra densa e stivata, come nel solco di un niello, che le leggerissime sfaldature plastiche si lasciano a margine del bronzo - per convincersi che il segno di contorno dell'immagine dà la contrazione spaziale che raccorcia i vuoti, i quali appaiono sempre lievemente colmati, allo stesso modo che comprime i pieni. Nei rilievi brindisini la spazialità non è più una conquista o un'affermazione, ma un apice. Pure se esaminiamo meglio la qualità del luminismo lamagnano (specie se lo mettiamo idealmente a confronto con quello di un Fazzini o di un Mastroianni), ci accorgeremo che esso in sostanza si fonda, come su una premessa e un sostegno, sull'air ambiant che occupa da sempre, come massimo problema, la ricerca plastica dell'artista.

Anche nei lavori appena menzionati continua - ed è anzi la loro, diciamo così condizione stilistica - quella comunione universale e fremente con le cose e col mondo, che fu scoperta nei capolavori del trecento italiano: lo spazio ha ceduto la sua agglomerazione architettonica, per frazionarsi infinitamente come un cristallo frantumato, provocando così, per le sue strutture rese labili, volanti, improvvise, un dramma di luce ed ombra che diventa protagonista al posto di quella che fu una compatta massa spaziale.

Qualcosa del genere avveniva, infatti, nella violenza tragica dei pulpiti di Giovanni Pisano con quelle loro composizioni accostate che conturbano come, senza i dovuti trapassi, i voli pindarici. Ma in Lamagna questa suggestiva e promiscua visione, ora frontale ora avvolgente, è funzione dello stesso campo spaziale che investe all'immagine. Non è la sua scultura a tutto tondo differente da quella dei bassorilievi, qualcosa che si possa toccare, che abbia lo spessore, i volumi, la situazione della cosa viva.

Ma ugualmente viene e si concreta con l'uso, vorrei dire, del fìnitorium o del definitore (per la costruzione e la verifica dell'intersezione della piramide visiva) che genera e in cui si espande, ne più ne meno del bassorilievo: la sua continuità rotatoria non è che uno svolgersi della cifra figurativa per visioni successive nel continuum del suo spazio proprio, e perciò solo in apparenza differisce dall'immagine che il disegno fa sorgere entro la carta.

E per questo che, un simile sfumato di piani - soprattutto nelle formelle del Cristo sulla Croce e del Cristo risorto nella Porta del Giubileo, e quelle della Madonna che scaccia il Maligno e del Cavaliere della Morte nella Porta Santa - non è complementare della linea, non è esegetico; poi, entro lo sfumato, il racconto figurativo s'aggrega e si plasma come au ralenti. Sembra di assistere, guardando queste opere bronzee di Lamagna, al formarsi degli occhi, delle labbra,delle dita: lentamente emergono dalla trepida bruma che affiora non già sul metallo, ma come ad uno schermo in trasparenza.

Non solo la figura genera la sua spazialità, ma questo processo è ormai così mentalmente posseduto che addirittura è la precostituita spazialità qui che genera la figura: una spazialità diffusa, simbiosi di ombra e di luce. Su tali forme nascenti calano allora, ad un tratto, come dei grandi fendenti, larghi e taglienti, che squarciano le tenere nuances vaganti, le obbligano al tempo stesso a coagulare, come un ricordo lontano della patina e della materia del bronzo.

Floriano De Santi
Segretario Generale Ente Quadriennale d'Arte di Roma